“Non potrò mai allattare”: questa la frase che mi ha assillato per mesi fino alla tua nascita, Adelaide. La ripetevo ogni qual volta qualcuno mi parlava di allattamento, delle gioie e delle difficoltà che questa parola si porta dietro. Me la sono ripetuta infinite volte tra i pianti e la solitudine e soprattutto tra mille altri pensieri. Avevo paura.
Sì, perché da quel caldo pomeriggio di Luglio in cui mi sono sottoposta all’ecografia morfologica tutto è cambiato e anch’io sono cambiata per sempre.
Labioschisi: il tuo labbro superiore aveva una finestrella e non era perfettamente chiuso.
Assieme al tuo papà che mi ha sempre supportata (e sopportata) ho affrontato tanti esami e controlli, ogni volta con la paura di chi sa che potrebbe precipitare in un burrone da un momento all’altro, ogni volta con la speranza che il tuo problema non fosse solo la punta di un iceberg perché purtroppo capita spesso che questa malformazione sia indice di patologie molto, molto più gravi.
Paura, speranza e conflitto: volevo sapere con più precisione possibile quanto sarebbe stato grande il problema che ti portavi appresso ma la verità è che fino a quel 3 Dicembre sera in cui sei inaspettatamente nata, non si sapeva con certezza nulla.
Tutte queste forti emozioni legate a te erano amplificate dai miei problemi di salute, che hanno aumentato il numero di controlli a cui sottopormi e soprattutto mi hanno lasciato con la paura di non essere in forze per potermi prendere cura di te al tuo arrivo.
Nel frattempo mi sono impegnata tantissimo per cercare il centro giusto in cui portarti per tutte le tue necessità ed in questo tortuoso percorso uno dei punti cruciali da cui partire è stato proprio capire come ti avrei nutrita una volta nata.
I bambini affetti da labioschisi (o labiopalatoschisi, ossia anche privi di tutto o parte del palato) hanno ovviamente necessità e istinto di nutrirsi come tutti gli altri bimbi, ma nel momento in cui provano a poppare dal seno materno non riescono a creare il vuoto ed in casi particolarmente difficili il latte può uscire dal naso compromettendo così la corretta e fondamentale nutrizione.
A Milano, città a cui ci siamo affidati per la tua nascita, per il tuo intervento e per i tuoi controlli, abbiamo conosciuto la realtà della Smile House: centro multi-specialistico per il trattamento delle malformazioni congenite cranio maxillo-facciali dell’Ospedale San Paolo, specificatamente dedicato a bambini e ragazzi sino ai 18 anni.
In quella sede abbiamo conosciuto una splendida e competente consulente all’allattamento, Katia Micheletti, che oltre ad avermi fatto conoscere tutti i dispositivi necessari per nutrirti mi ha spiegato quanto fosse importante che subito dopo la tua nascita tu restassi con me e che provassi ad attaccarti al seno.
Era fondamentale che non fossi portata via da me o addirittura in terapia intensiva neonatale (spesso capita infatti che alcuni ospedali si trovino impreparati di fronte a questo tipo di malformazioni e per evitare problemi portino il neonato in TIN, anche se non realmente necessario.)
Avevo una valigia pronta per l’ospedale unicamente piena di biberon speciali, tiralatte e dispositivi vari, convinta e decisa che in qualche modo ti avrei nutrita con il mio latte.
E così, in una fredda serata milanese, nel giro di tre ore sei venuta alla luce bella come mai avrei pensato, con un sorriso scucito speciale.
Ricordo l’anestesista che si è avvicinato per dirmi che stavi bene: sono scoppiata in un pianto di gioia immensa, anche se non ti avevo ancora vista.
Dopo averti sottoposta ai controlli di routine eri da me; grazie al tuo papà che ha insistito con il personale di turno (era una domenica notte di luna piena e le sale parto erano piene) sei stata sempre tra le mie braccia e da quell’istante hai iniziato ad attaccarti a me, senza nessun problema.
In quei momenti ero ancora anestetizzata dal cesareo e non sentivo nulla ma il giorno dopo mi sono resa conto di quanta forza avessi messo per attaccarti a me: avevo il capezzolo dolente e un po’ sanguinante.
Ci siamo preparati moltissimo per il tuo arrivo ed eravamo preparati al peggio, ed il peggio non c’è stato.
Ci hai stupiti tutti, consulente all’allattamento compresa, che il giorno dopo ci ha raggiunti in ospedale per vederti.
Tutto andava bene ma non crescevi come avresti dovuto e le puericultrici hanno iniziato a darti l’aggiunta di latte artificiale, perché anche il mio latte tirato non era sufficiente.
Una volta arrivata a casa ho preferito quindi essere ancora seguita da un’altra consulente e grazie ai tanti consigli positivi di amiche e conoscenti ho incontrato Monica, con la quale avevo già parlato prima del parto
. Sin dal nostro primo incontro mi ha detto chiaramente che non avevi alcun bisogno di aiuto perché nonostante la tua schisi la suzione era ottima, anche migliore di molti bambini non affetti dalla tua malformazione.
Chi aveva bisogno di aiuto ero io perché il mio latte non era moltissimo ed ero scoraggiata, convinta di dover prima o poi cedere al latte in polvere. Ovviamente ci sono state parecchie “aggiunte” ma grazie ai consigli di Monica e alla mia caparbietà (ed al supporto del tuo papà, perché se non fosse stato per lui probabilmente avrei mollato), mi sono data da fare: tiralatte ogni 3 ore anche di notte, pianti di dolore ogni volta che ti attaccavi, biberon mezzi vuoti nel frigorifero che mi scoraggiavano.
Mi è capitato che quel poco latte tirato con fatica si rovesciasse a terra e la disperazione di vedere sprecato ciò che per te era fonte di vita mi cambiava le giornate in negativo. Ma con la consapevolezza che non esiste latte materno non nutriente o latte annacquato sono arrivata ad allattarti in modo esclusivo al seno; non ho ascoltato chi vedendomi abbattuta e stanca mi diceva di mollare e di passare al latte artificiale, anche se a volte la tentazione è stata grande perché ho pensato spesso: “io stessa sono stata nutrita unicamente con quello e sono cresciuta bene”. Non ho mollato e così abbiamo vinto, io, tu e il tuo papà.
Arrivati al momento dell’intervento per la chiusura del labbro avevi poco più di 5 mesi e la paura che dopo il tuo risveglio non riuscissi ad attaccarti era tanta; i medici ci avevano avvertiti che avresti potuto fare fatica o addirittura rifiutare il seno.
Ma tu, Adelaide, hai voluto stupirci un’altra volta e appena ci hanno dato l’autorizzazione a nutrirti ho provato ad attaccarti. Dopo pochi secondi di disorientamento hai ripreso a mangiare esattamente come prima. Sospiro di sollievo di rito e pianto di gioia.
Ora, a 13 mesi, ti allatto ancora a richiesta ed il tuo sguardo ogni volta che ti attacchi è lo sguardo più rincuorante del mondo.
La tua mamma.
Le difficoltà spesso ci lasciano qualcosa di buono. Grazie alla labioschisi di mia figlia mi sono documentata così tanto da riuscire ad affrontare il percorso dell’allattamento con molti meno dubbi: così, con le spalle larghe e tanta determinazione, sono riuscita a dare un esito positivo alla mia storia.
Luisa